Biblioteca, 24/2/’15: Maria e Mimì ricordano con Renata.
Incontro del 24 febbraio 2015
Maria e Mimì
In un paese le testimonianze si fanno storia e rappresentazione.
Il paese o la piazza diventano palcoscenico, gli abitanti sono contemporaneamente spettatori e personaggi.
Ascoltando Maria e Mimì tutto ciò viene confermato.
Sono brave.
Raccontano e descrivono storie e fatti che si sfiorano in parte con quelli precedenti, ma ognuno mantiene la sua originalità e tutti ti affascinano nel loro saper dar vita a un modo di vivere, ad una cultura in parte dissolta dai tempi presenti.
Di volta in volta, grazie a queste gentili e generose disponibilità delle persone, si arricchisce la percezione di quanto si sta ascoltando e registrando e i ricordi, fatti di parole, di suoni e di toni, accompagnati da gesti, sorrisi, pause e sospiri, prendono pian piano la consistenza degli oggetti e delle persone che nominano: c’è una idea di sedia vicino alla stufa sempre più nitida, perché appare, in storie diverse, in un paio di interviste. Gli abiti antichi e neri che rivestono due sorelle e un fratello, diventano figurine ritagliate in cartoncini neri, ombre cinesi per parlare ancora una volta di dignità e compostezza, di tempo che passati. Ci sono i panorami che il paese offre così belli e nitidi che fanno da contraltare alla fatica costante che si va conoscendo fin da piccoli. Paesaggi fondale, o protagonisti nelle storie, perché con le loro pendenze spiegano e raccontano la fatica umana che passa da una generazione all’altra nel lavorare terreni e boschi.
Ma condensiamo le parole di Maria e di Mimì, cugine e cognate tra loro, che hanno condiviso tantissime cose tra loro con affetto e simpatia.
La scena si apre con l’inverno raccontato con occhi bambini: c’è il freddo e il bagnarsi per andare a scuola, e c’è la necessità e il dovere di portare l’acqua alla stalla per le bestie: bisogna andarla a prendere: trecento metri in discesa prima,di salita dopo con un secchio per mano, sul ghiaccio vivo. Una fatica tremenda.
Ma neve e ghiaccio possono essere anche gioco e divertimento, peccato che scivolare con le gonne faccia bruciare la pelle delle gambe, la faccia sanguinare, ma non è il caso di lamentarsi se non si vuole essere sgridati. Noioso diventa quando si cresce, sei ragazza, fuori c’è la neve e per passare il tempo leggi, fotoromanzi, o ascolti i racconti dei vecchi che parlano di tempo, fanno previsioni azzeccate sul tempo, parlano di malati e di morti. Intorno a questi bambini, altri bambini che lavorano come loro: portare l’acqua, portano le bestie al pascolo, tolgono le erbe tra le piante di fagiolo e quelle di patate e scopriranno così, con gli anni, di ..aver sempre lavorato!
Lavorato come un uomo anche se sei ancora una ragazzina.
Bambini che giocano, quando possono, che riescono a guardare le stelle, gli uccelli notturni che volano intorno alla torre, o le montagne innevate; bambini scolari, che vanno a scuola con il pezzo di legno sotto il braccio per scaldarsi, i grandi avanti che aprono la fila quando non la pista, i più piccoli incolonnati dietro. Poi ci sono i genitori e i parenti: quasi sempre severi, le madri più sullo sfondo, i padri che sono tornati dalla guerra, che devono far crescere la famiglia attraverso il lavoro di tutti, ma loro, i padri, che si fanno esempio -volontario o involontario- di lavoro continuo, perché stare con le mani in mano è inconcepibile. Partono alle cinque del mattino nella bella stagione, alle dieci di sera, d’estate, sono ancora nei campi.
Il tempo passa , cambiano le stagioni, si cresce, ci si guarda intorno.
Ritornano alla mente gli uomini che ogni giorno a piedi andavano a lavorare all’Acna di Cengio. O la bimba muta, che si racconta abbia acquistato la voce vicino ad un pilone.
La salute, buona pur con la scarsa igiene, le cure con le erbe per umani e bestie, il medico che se arrivava voleva dire che eri morto. Ferite, dolori e malattie curate .. continuando a lavorare!!
Se qualcuno stava male la gente lo andava a trovare, gli faceva compagnia, gli portava da mangiare, “ In una borgata così, magari senza luce, se c’era qualcuno che non stava bene, tutti preoccupati, si radunavano lì, uno diceva una cosa, uno ne diceva un’altra, cercavano di aggiustare un po’ la situazione come fossero stati dei dottori,.. ma anche come fossero stati dei parenti”
A volte lo sei parente e nel curare lo zio, un uomo affettuoso, ma guai a scherzare o cantare o ridere se si doveva lavorare, e ritrovi nei suoi occhi, quelli di tuo padre, suo fratello, che ti è già mancato.
E questi sono i ricordi dell’età adulta che si mescolano con quelli dell’infanzia e dell’adolescenza, ma ecco che Mimì e Maria ci regalano nel chiudere l’incontro, un ricordo gioioso, allegro , perché era un momento sempre atteso: la trebbiatura.
Eppure fa caldo. Molto caldo e il lavoro è pesante come e più del rastrellare: tagliare il grano, lasciarlo diverse giornate a seccare, portarlo in grandi cumuli con le mucche a casa e infine arriva la trebbiatrice, i padroni e … i garzoni, giovani ragazzi dei paesi vicini, allora è bello servire loro da bere che il lavoro, la polvere e il caldo prosciugano, e c’è il pranzo delle feste, con li antipasti e alla sera si esce e si chiacchiera con i garzoni e questo lavoro dura diversi giorni e tutto si fa festa e se c’è un ragazzino che gira nei dintorni per Mimì o per Maria c’è sempre uno zio, un padre, che chiama il ragazzino e così anche lui passerà il resto del giorno a scaricare sacchi di grano!!
Maria, Mimì, grazie.