Biblioteca e memorie: intervista a Remo e Maria; 27 gennaio 2015
27 gennaio 2015 giorno della Memoria, sant’Angela sul calendario, ma Remo, il testimone di quest’incontro insieme alla moglie Maria, ricorda che oggi, una volta era il giorno dedicato a sant’Elvira.
Ebbene Remo ha proprio ragione, ottima memoria la sua, alla quale si accompagna quella di sua moglie Maria, Maria Tersilla. Remo e Maria sono coetanei. Due belle persone sorridenti e affiatate e anche con loro trascorreremo un piacevolissimo pomeriggio.
Oggi iniziamo raccontando fatti, ma anche pronunciando nomi. Nomi che creano collegamenti o che aprono a nuove storie e fanno entrare in scena nuovi, anche se antichi personaggi.
Remo, metto a fuoco dopo un po’, é il Remo di cui si parlava la settimana scorsa, il giovane amico, ma oggi saprò, anche cugino di Dante : l’innamorato e poi marito di Dina!
Nel bel viso di Remo oggi ecco che scorgo il giovane che accompagnava il cugino al bar dei “ Quattro venti” di Montezemolo dove Dina lavorava con gli zii.
Oggi è anche il momento per incontrare Tersilla e Diamantina. Due figure femminili dai nomi molto belli e particolari, il primo è quello della nonna di Maria, vuol dire colei che viene da Tarso come san Paolo, e Diamantina quello della figlia, un nome che ricorda il Diamante, un nome senza un santo proprio ( un nome adespota, imparo leggendo Wikipedia) per cui lo si festeggia il 1° Novembre.
Tersilla , una trovatella, vive e cresce in epoca di emigrazione. Sposata, trascorre parte della sua vita in Argentina dove muore. Ha una figlia, Diamantina, che verrà a vivere a Castelnuovo dagli zii quando rimarrà orfana della mamma. Il padre si risposerà. Maria e Remo sono tra loro cugini ma anche cugini con Dante e Dina.
Nelle storie che si intrecciano, nei racconti di Remo e Maria, l’emigrazione emerge più di una volta e riguarda soprattutto la fascia di età che si riferisce ai loro nonni, ai primi del novecento. A qualcuno è andata bene fino a poter acquistare, tornando, cascine o appartamenti a Savona. Ma c’è invece chi non è riuscito a fare fortuna. C’è chi sta è stato via solo pochi anni e chi più a lungo.
Non ci siamo soffermati su chi, se c’è stato, invece si è fermato e non è più ritornato.
Uno zio di Remo è partito per l’ Australia all’avventura, ancora negli anni sessanta.
L’età dei loro padri sarà l’epoca della guerra, si tramanda bisogno di sapersi accontentare, il periodo della “ talia”, la tassa sulla terra. Maria li ha buttati via non molto tempo fa i “biet della tassa”, colorati in verde della Banca popolare di Novara. Saranno anche questi i lunghi tempi degli acquisti oculati, parsimoniosi: la mezza bottiglia d’olio. Di quell’epoca si ricordano come si era tutti uniti, più che adesso, quando si stava tutti insieme.
Poi c’è la loro epoca, bambini durante la guerra, saranno adulti intorno agli anni sessanta, il periodo delle fabbriche , dei cambiamenti, delle macchine per il lavoro agricolo, dello star meglio, della pensione per gli anziani di 5mila lire negli anni settanta.
Remo, anche lui proverà il lavoro in fabbrica, a Torino, in fonderia.
Parte il giorno di San Giuseppe, 19 marzo del ’62 con il treno insieme a Sergio. A Torino l’aspetta Germano. Prima settimana, primo turno, quello della mattino con uscita alle due: una fatica bestiale, un’ora di tram, tutti pigiati, per tornare a casa. Tira, tira Remo riesce a finire la settimana. Si torna a casa, poi si riparte. Un’altra settimana, terribile come la prima. Di nuovo ritorna a casa, ma quando è il momento di partire dice basta. Gli amici lo esortano a resistere: “ Fai un po’ di sacrificio e poi ti cambiano..” No. Per Remo il tempo del cambiamento è già arrivato:” Basta Fiat, io ho già cambiato adesso” Non tornerà più, non ritirerà né il libretto del lavoro né i soldi guadagnati in quelle due prime settimane.
“ Basta, venivo matto se stavo ancora lì!”
L’anno dopo ci riprova e va a lavorare a Lesegno, due mesi e poi basta. “Era orribile, ferro che corre da tutte le parti, un gran caldo, a picchiar lingotti con la mazza, una gran fatica.”
Il giorno di pentecoste a Ceva c’è festa grande. E’ con gli amici: “ forse io non vengo più in quel manicomio” dice , un amico gli fa eco:” Non vado più neanche io”
Presa la decisione si guardano in giro: ci sono le giostre, il ballo, il profumo del cibo dei ristoranti, vanno sulle giostre, ballano, mangiano. Noi che ascoltiamo siamo anche noi contenti di questa loro ritrovata libertà, di questa gioia giovanile nel prendere una decisione che li riporterà alla terra, alla campagna.
Li mandano a chiamare, ma non andranno, a casa c’è da battere il grano sotto padrone. Finché non si metterà in proprio. Strada Remo ne ha fatta da quando si andava a mangiare di nascosto dai fratelli, sotto le lenzuola , gli avanzi della polenta.
Remo e Maria, una vita insieme da allevatori, sono gli ultimi che hanno smesso, il loro lavoro lo facevano con passione, sono arrivati ad avere 20, 22 mucche dall’87 in avanti.
Un lavoro intenso. Incominciava al mattino molto presto, poteva continuare anche di notte se c’erano mucche che dovevano partorire. Lavoravano anche il fieno. Alle mucche ci si affezionava, Maria le coccolava, potevano vivere dieci, dodici anni anche quindici, ma quando avevano partorito otto, dieci volte erano ormai vecchie.
Remo ricorda ancora quando dal 93’ in avanti doveva buttare via il latte se veniva superata la quota prevista: “ quintali e quintali buttati via!”
A volte le mucche ingoiavano del fil di ferro, il veterinario allora con un tubo mandava loro nello stomaco una … calamita!! Il ferro rimaneva attaccato e la mucca si salvava.
Con Maria e Remo, ma anche con Franco che è rimasto con noi integrando i racconti di molti particolari interessanti, si parla di tante cose del canto, dei balli, degli scherzi di una volta, dei frisceui…
Ci salutiamo anche se avremmo voluto continuare pensando che si può approfondire magari con tutti gli altri, come una volta “ quando si era tutti uniti” tornando a fare una seconda “Veija” parlando questa volta di giochi e di scherzi , di modi di dire e di proverbi, di fatti straordinari capitati, ricordando i magnin. Possibilmente con un piatto di frittelle sotto il naso.
Mentre ci prepariamo ad andare ritorna Enrico che era andato con Giuseppe per controllare il percorso della Ciaspolata. Durante la loro passeggiata Giuseppe ha proposto di fare i prossimi incontri direttamente “ nelle cucine di una volta” ottima idea Giuseppe! Grazie!!